ATUMIANI
©
2016 Marco Alfaroli
Atum
era il Signore delle divinità,
si
era autocreato e aveva come sposa la sua ombra.
Quel
giorno Ra era proprio di buon umore. Sorrise e puntò i suoi occhi di
rapace sulle piramidi che aveva impastato personalmente quella notte.
Quando
si divertiva a modellare usava sempre materia grezza e poi,
attraverso impulsi mentali, rendeva le pareti lisce e compatte. Il
risultato era una serie di forme perfette, diverse per colore e
grandezza, tutte sospese a mezz’aria. Le sue creazioni rimanevano
immobili, in attesa della conclusione del gioco.
Fissò
la più grande e questa, quasi subito, iniziò a traslare di lato e
si fermò su quella più piccola, di colore rosso.
Con
un’altra azione mentale, fece ruotare la piramide fino capovolgerla
completamente. Poi ghermì le altre tre, verdi e luminose. Anche
queste ruotarono, ma rimasero perpendicolari e i loro vertici
finirono per fronteggiarsi.
Toth
si avvicinò proprio in quel momento.
«Bella
scultura aerea!» esclamò.
«Non
so» disse Ra «mi sembra che manchi qualcosa».
I
suoi occhi si accesero e tra i vertici delle piramidi, con un lampo,
esplose un piccolo sole.
«Ecco,
ora va molto meglio».
Toth
osservava pensieroso quella meravigliosa manifestazione della loro
grandezza. Improvvisamente parlò.
«Quel
sole giallo, ti ricordi? È successo tanto tempo fa...»
«Sì,
mi ricordo».
Gli
altri Atumiani si destarono dall’apatia e prestarono attenzione
all’evento, perché evocava le loro gesta del passato.
Anubi
intervenne nella discussione.
«Li
ho percepiti. Stanno arrivando!» disse. «I loro pensieri sono
semplici, come allora. Eppure li sento sempre più vicini».
«Credi
che siano venuti a cercarci?» chiese Ra, perplesso.
«No,
è un caso. Avverto in loro molta sete di conoscenza. Sono state la
curiosità e la speranza ad averli spinti fin qui».
Ra
si elevò di quota. Le enormi pinne vela che lo mantenevano in volo
lentamente si trasformarono. Come tutti i suoi simili, riusciva a
modificare il proprio aspetto e assumere forme diverse.
Toth
lo osservò mentre imitava gli umanoidi del terzo pianeta di quel
sole lontano. Lui era sempre stato contrario a questa pratica:
assomigliare a esseri così semplici significava sminuirsi. Era vero
però, che quegli organismi primitivi avevano subito stimolato la
fantasia degli Atumiani e anche lui, tutte le volte che si era
presentato a loro, lo aveva fatto imitandone l’aspetto.
Gli
Atumiani riuscivano a fare qualsiasi cosa, perché avevano il
controllore
della materia e del tempo; erano immortali e potevano spostarsi
ovunque nello spazio a velocità inimmaginabili.
Si
erano spostati spesso nel cosmo: lo facevano per gioco. Una volta,
per esempio, erano partiti in molti per raggiungere quel mondo così
diverso dal loro.
Era
stato divertente. Ripensò per un attimo a come aveva influito sugli
abitanti di quel mondo... a come aveva plasmato la civiltà Egizia.
Si rivolse a Ra, che ormai esibiva, esclusa la testa, un aspetto
completamente umano.
«Io
insegnai agli uomini il linguaggio dei simboli. Dimostrarono molta
intelligenza e sfruttarono bene quello che appresero. Fu qualcosa di
notevole, se si pensa a quanto fosse stata ingiusta la natura con
loro».
Ra
tornò lentamente alla sua forma naturale, le gambe umane si unirono
tornando a essere la lunga coda verticale e le pinne vela crebbero
veloci di lato.
«Erano
solo materia per i nostri giochi. Ricordate come li abbiamo
abbandonati? Fu la noia a convincerci a partire».
La
fitta coltre di nubi fu rotta da un oggetto volante, piccolo e
durissimo.
A
bordo, da dietro i molti finestrini, gli abitanti del terzo pianeta
della lontana stella gialla, guardavano sbalorditi il mondo degli
Atumiani.
Il
suolo non era visibile, coperto da incredibili vapori colorati.
Enormi masse di gas nascondevano chissà quali segreti e rendevano
tutto indistinto.
Dalla
nebbia emergevano altissimi e maestosi rami color ebano, addobbati da
un’infinità di sfere bianche di varie grandezze. In mezzo a questa
bizzarra vegetazione, i giganteschi Atumiani galleggiavano nell’aria,
immobili, incuriositi dai visitatori.
«Sono
loro?» chiese Iside, che fino a quel momento non aveva ancora
parlato.
«Sì»
le rispose Anubi «vi avevo detto che sarebbero arrivati».
L’astronave
era molto piccola. Se si rapportava alle dimensioni di Ra, di Toth e
di tutti gli altri, appariva minuscola. I visitatori sembravano
formiche al cospetto di giganti.
Eppure
non si persero d’animo e attivarono tutti i mezzi in loro possesso
per cercare di farsi capire.
Dalla
nave partirono tanti segnali. Fasci di luce diretta e lampeggiante,
bagliori prolungati e a volte intermittenti, comunicazioni radio su
tutte le frequenze possibili, messaggi a contenuto matematico con
sequenze logiche e intuitive.
Gli
umani provarono ogni strada per arrivare a stabilire un contatto con
quelle creature extraterrestri che ricordavano molto le antiche
divinità Egizie, almeno nella parte superiore del corpo.
«Credi
che abbiano fatto dei progressi, Anubi?» chiese Ra, curioso.
«Sono
arrivati fin qui. Hanno fatto molto, ma non si sono evoluti in tutto
questo tempo: sono gli stessi deboli umani che ci adoravano sul loro
mondo».
Il
parere di Anubi fu sufficiente perché Ra prendesse la sua decisione:
con un ampio gesto creò una nuova piramide.
Era
una struttura trasparente e vuota, che avvolse l’astronave dei
terrestri chiudendosi ermeticamente. Il risultato fu una prigione di
cristallo a forma di piramide.
Il
velivolo atterrò sulla superficie levigata. Sbuffi di fumo ne
annunciarono la stabilizzazione. Un grosso portello laterale si aprì
e gli esseri umani sbarcarono.
Dapprima
rimasero protetti nei loro scafandri astrali, poi, dopo un’attenta
analisi dell’atmosfera che li circondava mediante le loro macchine,
decisero di togliersi il casco.
Aria
respirabile! Avevano intorno aria fresca e respirabile!
Avevano
anche intorno, però, spesse pareti di un materiale trasparente
durissimo e impenetrabile.
Il
loro stato d’animo cambiò; si agitarono, gesticolarono isterici.
Anubi avvertì nei loro pensieri paura, disperazione e rabbia.
Ra,
invece, non si preoccupò di che cosa pensassero gli umani, puntò lo
sguardo e con un’azione mentale spostò la prigione vetrosa proprio
sopra la piramide capovolta della sua creazione, formando una
struttura in armonia col resto dell’opera, le forme erano vicine ma
non si toccavano, l’insieme rimaneva sospeso e riscaldato dalla
luce della piccola stella.
«Perché
hai fatto questo?» chiese Toth a Ra.
«Solo
così questi esseri possono essermi utili».
Anubi
e Iside sembravano affascinati dalla conclusione geniale dell’opera.
Anche gli altri Atumiani presenti, si avvicinarono per vedere meglio.
Dentro
la piramide di cristallo, intanto, gli uomini parlavano
freneticamente tra loro. Quello che sembrava il capo tornò a bordo,
mentre gli altri, demoralizzati, restarono fuori senza più sapere
cosa fare.
Lo
sforzo creativo aveva stancato Ra che, infatti, decise di tuffarsi
nei vapori sottostanti. Gli altri lo videro sparire.
Lo
faceva sempre, quando sentiva di doversi riposare dopo aver esagerato
con i suoi poteri mentali.
Gli
altri Atumiani scivolarono nuovamente in una dolce apatia, aspettando
la prossima scossa di divertimento.
Toth
si avvicinò guardingo alle piramidi. Appena fu davanti al muro
vetroso che imprigionava i visitatori, li guardò con una specie di
ghigno divertito.
Assestò
un colpo potente: gli uomini fuori dell’astronave barcollarono e
poi caddero a terra. Tutto tremò.
Con
una sola mazzata, se avesse voluto, avrebbe potuto mandare in
frantumi la piramide. Ma non era questo il suo piano.
I
terrestri spaventati si rifugiarono nell’astronave e il comandante
ordinò il decollo. Getti di energia e fumo sostennero il velivolo,
immobile in aria, circondato dalla struttura trasparente visibilmente
incrinata.
Ecco,
avevano fatto ciò che voleva. Toth sferrò un secondo, potente colpo
di pinna, che sbriciolò gran parte della creazione di Ra, compresa
la piramide degli umani.
Gli
Atumiani si rallegrarono del colpo di scena. Era un bel modo per
scuoterli dalla noia. Intanto la piccola astronave schizzò via,
zigzagando tra quei corpi colossali. Poi guadagnò il cielo,
aumentando la potenza dei motori per fuggire via, a casa.
Toth
si compiacque per quello che aveva fatto.
«Chissà
come si arrabbierà Ra domani quando scoprirà che ho distrutto la
sua creazione» disse, fiero. Tutti scoppiarono in una fragorosa
risata.
Poi,
stanco per l’intensa attività, si tuffò nelle nuvole di vapore,
anche lui per riposarsi.
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